San Filippo d’Agira
Bottega calabrese, sec. XVII
Legno scolpito, dipinto
La statua di San Filippo d’Agira, prima del restauro del 2013, si presentava molto alterata nei suoi valori plastici e cromatici da ben tre strati di ridipinture eseguite nei secoli scorsi.
L’intervento, consentendo il recupero, anche se in maniera frammentaria, della policromia originale del manufatto, ha fatto emergere il colorito scuro della carnagione del Santo, dovuto alla sua origine mediorientale, il colore avorio della tonaca, le tonalità marrone della pianeta e delle sue decorazioni, oltre alla buona qualità dell’intaglio.
Proveniente da Sinopoli vecchio - piccolo centro oggi completamente abbondato, dove nel 1711 era attestata una chiesa intitolata al Santo agirino - l’opera rappresenta un unicum nella Diocesi, anche perché il culto di questo Santo non è più esistente, come invece nella vicina Sicilia occidentale. Qui egli, avuto l’incarico di evangelizzarla, visse parte della sua vita (V sec. d.C.), compiendo miracoli ed esorcismi per liberare gli ossessi dal demonio, la cui manifestazione era vista dagli abitanti terrorizzati nell’attività eruttiva dell’Etna.
Questo aspetto si riflette nell’iconografia, tipica dell’area territoriale etnea: Filippo, vestito di pianeta e stola, ha la mano destra alzata nell’atto di benedire, mentre schiaccia vittorioso il diavolo posto sotto i suoi piedi. Quest’ultimo è legato al collo da una catena, che in origine era verosimilmente retta dalla mano sinistra del Santo.
Non vi sono notizie sull’opera, che va inquadrata nel panorama della scultura seicentesca di bottega meridionale, probabilmente siciliana.
Sintesi della Scheda di Restauro
La scultura lignea raffigurante San Filippo d’Agira versava in un cattivo stato di conservazione a causa degli interventi postumi subiti nel tempo ed essendo stata oggetto di infestazione da parte dei tarli, con gravi conseguenze per il legno di supporto. I lavori hanno condotto ad un recupero dell'opera ed all’approfondimento della sua qualità tecnica ed esecutiva.
La statua è stata ancora oggetto di una specifica analisi storico artistica per cui rimane inquadrata nell’ambito delle botteghe artistiche calabresi, e la si può presumibilmente far risalire alla seconda metà del seicento, come indicato dai risultati ottenuti dall’esame del carbonio 14 realizzato presso il centro CEDAD dell’Università del Salento.
La vicenda conservativa riguardante la statua costituisce un esempio rappresentativo dell'intervento che per secoli si è perpetrato sulle sculture lignee policrome: spesso considerate come semplici "oggetti d'uso" all'interno dell'ambiente ecclesiastico, piuttosto che come opere di espressione artistica, questi manufatti giungono comunemente con svariati strati di ridipinture successive, eseguite periodicamente come "manutenzione" nei confronti dell'oggetto.
Nel caso di sculture lignee policrome è dunque quasi sempre necessario distinguere tra operazioni di semplice pulitura superficiale, riguardante materiale di deposito o vernici alterate, e operazioni più invasive che comportano la rimozione totale di strati di ridipintura.
La pulitura del San Filippo d’Agira dev’essere inserita in quest’ultimo ambito per la necessità di rimozione completa di strati pittorici sovrapposti. L'apertura di numerosi tasselli sulla superficie, eseguita a bisturi, ha permesso di stabilire che sotto il rifacimento novecentesco (1937), esistevano altri due strati di ridipintura, e che al di sotto di essi la policromia originaria era presente in maniera estremamente frammentaria, soprattutto per quanto riguardava gli incarnati e la casula.
La scelta di rimuoverli è stata frutto di un atto critico motivato dal recupero dell’unità originaria.
Il risultato del restauro è una veritiera comprensione della tecnica esecutiva originale che mette in evidenza le abilità di scultore ed intagliatore dell’ignoto autore.
Ciò che è emerso di quest’opera è la buona qualità della sua fattura, già definita dall’intaglio ricoperto da una preparazione ed una stesura pittorica piuttosto sottili, capaci dunque di seguirne fedelmente il modellato.
Al contrario, gli esecutori meno virtuosi nell’uso di sgorbie e scalpelli si avvalevano spesso degli strati di stucco per la definizione del modellato, non essendo in grado di ottenere gli stessi risultati attraverso il solo intaglio. La perizia scultorea si evince inoltre nell’utilizzo di un unico tronco in legno per l’esecuzione dell’intera figura del Santo, compresa la testa e ad eccezione dell’avambraccio destro assemblato al resto del corpo tramite chiodi.
Le mani sono coestensive con le braccia appartenendo ad un unico pezzo ligneo, e solo il pollice ed indice della mano destra sono stati scolpiti a parte e successivamente assemblati. Grazie all’intervento di restauro si sono potuti inoltre individuare gli antichi e raffinati moduli decorativi riscontrabili seppur in maniera estremamente frammentaria sulla pianeta e lungo i bordi della tunica.